Tuesday, March 25, 2008

The new frontiers of SHIT

I hope I won't be considered as a shit writer after this post (and the post before this one), but I'm going to write about an exhibition which is, literally, about 'shit'.
Yes, shit, intended as what comes out of the body when the nutrition process comes to its end. Someone might find interesting that I am writing about such topic after having written the word in the 'tag' space of Last.fm. This means I'm listening to 'shit'-related music, although God only knows why Into the Unknown by DJ deserves to be tagged like that...
The beautiful town of Trento (North-East of Italy) hosts such infamous exhibition at the Museo Tridentino di Scienze Naturali. If you're interested in seeing it hurry up, because it closes by 28th March. All information here:
http://www.mtsn.tn.it
I can add that the idea came out of Nicola Davies' book 'POO: A NATURAL HISTORY OF THE UNMENTIONABLE' (2004). And the exhibition is interactive (oh, my God!): I'm shitless. Ehm, I mean: I'm speechless...
In case you can't resist the call of the wild, you can contact the Associazione Didattica Museale here: info@assodidatticamuseale.it (tel 02 88463337)
They say they can bring it all to your hometown, if you just dare to ask

Saturday, March 15, 2008

Il metodo antistronzi


Versione integrale dell'articolo di Ignazio Sanna apparso in versione ridotta sul quotidiano di Cagliari L'Unione Sarda:

Spesso nella vita andare dritti al punto è straordinariamente efficace. E a maggior ragione nel caso di un libro che si propone di ottenere dei risultati concreti attraverso la messa in pratica dei suoi contenuti. Di certo Robert I. Sutton, professore di Scienza dell’Ingegneria gestionale all’Università di Stanford, in California, ne ha tenuto conto quando ha deciso che titolo dovesse avere il suo libro: “Il metodo antistronzi” (Eliot edizioni, p. 218). Non sarà forse un titolo elegante, di quelli adatti ad essere sfoggiati in ambienti mondani con velleità di carattere culturale, ma ha di certo il pregio di non essere ambiguo. Intuitivamente tutti noi ci rendiamo conto di quale sia la categoria alla quale pensa l’autore di questo libro, che ha come sottotitolo “come creare un ambiente di lavoro più civile e produttivo o sopravvivere se il tuo non lo è”. Più chiaro di così!
Intelligentemente l’editore americano della versione originale ne ha tenuto conto, facendolo uscire come “The No Asshole Rule”. La genesi del titolo è spiegata dettagliatamente nell’introduzione dello stesso Sutton. Il termine adottato nell’edizione italiana, pubblicata dalla Elliot nella traduzione di Fabrizio Saulini, ha lo stesso significato figurato dell’originale, risultando altrettanto efficace. Il suo utilizzo come ingiuria ne ha cancellato quasi del tutto nella percezione comune il significato originario di risultato della deiezione per lasciare in evidenza quello di oggetto non soltanto privo di utilità ma decisamente sgradevole.
Il libro si occupa di mobbing ma non solo, è un vero e proprio manuale di difesa nei confronti di coloro che, scrive Sutton, possono essere chiamati in molti modi: “prepotenti, maleducati, cafoni, bastardi, aguzzini, tiranni, maniaci oppressivi, despoti, egomaniaci, ma, almeno per quanto mi riguarda, stronzo è la parola che meglio di qualunque altra esprime la paura e il disprezzo che provo per questi personaggi”. L’autore si è interrogato sull’opportunità di utilizzare un termine così poco raffinato, ma alla fine ha rotto gli indugi adottandolo senza ripensamenti, avendone verificato l’efficacia anche in ambienti poco avvezzi al linguaggio rozzo come gli ambienti accademici.
Anche da noi del resto, visto l’attuale degrado della società, che per esempio in politica vede ormai come caratteristica essenziale l’aggressività verbale e l’imbarbarimento dei comportamenti, non sarà certo la scelta di utilizzare una parola meno elegante di un’altra per designare un concetto come questo ciò che potrà far allontanare i lettori. Anzi, probabilmente li ha attirati, essendo stato un piccolo caso editoriale sia negli USA che in Italia. A chi ama la letteratura potrà far piacere che di tanto in tanto Sutton citi poeti e narratori quali Walt Whitman, Kurt Vonnegut, Ernest Hemingway, Nick Hornby, anche se non sempre questo implica una maggiore elevatezza del tono generale del testo. L’accattivante prefazione all’edizione italiana è firmata da Pier Luigi Celli, già direttore generaledella RAI, oggi all’Università Luiss.


Il mobbing

Purtroppo sono in tanti ad aver subito comportamenti ascrivibili alla categoria così ben introdotta da Sutton nel suo saggio, al punto che il legislatore ha dovuto tenere conto del fenomeno che va sotto il nome di mobbing. Questo termine nasce dagli studi etologici che hanno rilevato come nel mondo animale accada a volte che alcuni elementi di un gruppo sviluppino un comportamento aggressivo a danno di altri. Esattamente ciò che accade talvolta negli ambienti di lavoro umani. Un recente disegno di legge presentato in Parlamento per l’approvazione definisce il mobbing come “l’insieme di quegli atti e comportamenti posti in essere dal datore di lavoro, capi, intermedi e colleghi che si traducono in atteggiamenti persecutori, attuati in forma evidente, con specifica determinazione e carattere di continuità, atti ad arrecare danni rilevanti alla condizione psico-fisica del lavoratore, ovvero anche al solo fine di allontanarlo dalla collettività in seno alla quale presta la propria opera”. In un comunicato sindacale pubblicato sul sito internet dell’Associazione Italiana Psichiatri (http://www.aipsimed.org) si legge: “Una situazione è mobbing quando un dipendente è oggetto ripetuto di prepotenze, prevaricazioni e soprusi. I responsabili di tali sopraffazioni possono essere i “superiori”. Nello specifico, è mobbing quando vengono poste in essere pratiche dirette ad isolare il lavoratore sul posto di lavoro, ad allontanarlo, a condizionarlo perché questi si licenzi; affinché ciò avvenga il datore di lavoro incide gravemente sull’equilibrio psichico dello stesso, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando una catastrofe emotiva, depressione e talora persino il suicidio. Spesso un lavoratore oggetto di mobbing che si licenzia per via della “catastrofe emotiva” e del degrado della sua immagine di fronte ai colleghi di lavoro, non è in grado di trovare lavoro nell’immediato. Secondo l’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sui Luoghi di Lavoro l’8% dei lavoratori in Europa sono vittime del mobbing nei settori sia privato e sia pubblico, in particolare pubblica amministrazione, sanità, istruzione e difesa. Il mobbing colpisce più spesso persone di istruzione medio-elevata (54% diplomati e 28% laureati) che nel 78% dei casi sviluppano un disturbo dell’adattamento (DSM-IV), secondo un’indagine svolta dalla Medicina del Lavoro del Policlinico Sant’Andrea di Roma”.


Un esempio a Cagliari e uno a Springfield

L’esempio seguente non è tra quelli riportati nel libro di Sutton, ma avrebbe potuto esserlo se ne fosse venuto a conoscenza, rientrando nella tipologia descritta nel comunicato sindacale citato. In una delle più grosse aziende pubbliche della Sardegna è stata posta a capo di un ufficio di una certa importanza strategica una persona che si è resa responsabile di una serie di comportamenti, anche omissivi, tali da isolare alcuni dipendenti dal contesto lavorativo in cui operavano, privandoli in qualche caso anche dei mezzi necessari, informazioni interne comprese, a compiere il proprio dovere. Fortunatamente questa persona non occupa più quella posizione, ma i danni che ha causato in termini di produttività in quell’ufficio, oltre ai danni alle persone, non sono spariti con lei. Spinge a riflettere anche il fatto che questa persona sembrasse agire nella piena consapevolezza del proprio operato, addirittura mettendo in pratica diversi atteggiamenti descritti nella teoria sul mobbing così come esposta nell’ambito del corso di formazione e aggiornamento disposto dall’azienda per i propri dirigenti e funzionari.
Un altro esempio viene da Springfield, cittadina della provincia americana in cui abitano i Simpson, la famiglia più famosa del mondo dei cartoons. Spesso questo telefilm mette in risalto le storture della società, e non soltano di quella americana. In una puntata la moglie del capofamiglia Homer, Marge, decide di mettersi alla prova nel mondo del lavoro, e si ritrova a fare l’agente immobiliare. I suoi colleghi sono degli ipocriti, l’un contro l’altro armati, e tutti contro il più debole, con un capo che invita Marge, che non lo capisce da sola, a distinguere tra verità e “verità”, quando si trova a vendere una casa che nasconde qualche problema. Inutile dire che la signora, disgustata, preferisce essere licenziata piuttosto che imbrogliare il suo prossimo, restando del tutto estranea agli atteggiamenti meschini di quell’ambiente.

I danni alle aziende

Ma Sutton dice chiaramente anche che evidenziare l’inadeguatezza su vari piani di questo atteggiamento non implica affatto l’esaltazione della mancanza di carattere o dell’eccessiva remissività. Tanto gli uni quanto gli altri sono comportamenti dannosi nel mondo del lavoro. “Esperimenti e studi sul campo in varie organizzazioni dimostrano che quando i gruppi di lavoro entrano in conflitto sulle idee in un’atmosfera di rispetto reciproco producono idee migliori e rendono di più. […] Questi stessi studi dimostrano che quando invece i componenti di un gruppo entrano in conflitto sul piano personale, ovvero quando si scontrano a causa del risentimento o della rabbia, il rendimento e la soddisfazione crollano. In altre parole, quando qualcuno fa lo stronzo l’intero gruppo ne risente”. Dunque Sutton non è un alfiere del “buonismo”, ammesso che questo concetto esista per davvero, né una specie di buon samaritano. Il suo libro dimostra che l’equità e il rispetto nei confronti degli esseri umani sono fattori da salvaguardare nell’interesse dell’azienda stessa: “gli stronzi provocano danni enormi non solo alle loro vittime ma anche alla performance aziendale nel suo complesso, a tutti quelli che ne subiscono di riflesso gli effetti e, non ultimo, a loro stessi”. Quindi un buon dirigente è quello che è capace di motivare i propri sottoposti, un cattivo dirigente è quello che invece fa venir meno le motivazioni, il che si traduce in un calo, spesso significativo, della produttività e di conseguenza in una perdita secca per l’azienda. Difficile essere più chiari di così: “I danni provocati dagli stronzi in azienda emergono dai costi dell’aumento del turn over, dell’assenteismo, del calo della dedizione al lavoro, della distrazione e della diminuzione della performance evidenziata negli studi sugli abusi psicologici, il bullismo e il mobbing”. Per non parlare dei costi, non soltanto economici, che le aziende che non reprimono o addirittura coprono comportamenti simili rischiano seriamente di dover sostenere nel caso in cui siano coinvolte in procedimenti giudiziari promossi dalle vittime. Insomma, le qualità umane possono essere una risorsa anche economica e i comportamenti virtuosi possono mantenere sana un’azienda. Problema che si sono posti anche colossi dell’economia americana come Intel e Google, tra gli altri.
Sempre nell’interesse delle aziende Sutton suggerisce a chi ne è a capo di calcolare il CTS (“Costo Totale degli Stronzi”). Un’impresa della Silicon Valley che l’ha fatto nel caso di un proprio dipendente rispondente alle caratteristiche sin qui descritte ha accertato che nell’arco di un anno l’ammontare di tale costo è stato di 160.000 dollari, l’equivalente di oltre trecento milioni delle vecchie lire. Sutton propone dei test per riconoscere questi personaggi, basati su questo presupposto: “il miglior indicatore del carattere di ognuno è la differenza tra il modo in cui tratta i potenti e il modo in cui tratta le persone qualunque”. In effetti è tipico dei vigliacchi mostrarsi deboli con i forti e forti con i deboli.

E se gli stronzi siamo noi?

Ma, attenzione: è fin troppo facile accorgersi degli atteggiamenti sbagliati degli altri, mentre è ben più difficile valutare oggettivamente il nostro comportamento. Sutton se ne rende ben conto, e nel quarto capitolo affronta con grande attenzione questo aspetto del problema. Raccontando al lettore una propria esperienza, conclude: “A volte mi considero una persona talmente buona, morale e determinata da essere immune dall’imitare tutti gli idioti che mi circondano […] ma l’avvelenamento da stronzi è un male che può contagiare tutti”. Il che significa che non si tratta di etichettare gli altri (e magari noi stessi) dividendoli tra buoni e cattivi. Si tratta di rendersi conto, e comportarsi di conseguenza, che esistono comportamenti virtuosi, che fanno bene alle persone e quindi anche alle aziende per cui lavorano, e comportamenti deprecabili, che danneggiano le une e le altre. Ancora, l’autore ci avverte di fare attenzione, perché vedere i colleghi come rivali o nemici è un gioco pericoloso. Probabilmente Sutton non lo sa, ma esiste un gran bel film di Totò, “Chi si ferma è perduto” (1960), in cui lui e il suo collega d’ufficio Peppino De Filippo se ne combinano di tutti i colori nel tentativo di fare carriera ciascuno a scapito dell’altro. Divertente e istruttivo.
Tanto per non dimenticare che questo libro è anche un saggio scientifico, nonostante la disinvoltura del suo linguaggio, proseguendo nella lettura apprendiamo che al Media Lab del MIT (il famoso Massachusetts Institute of Technology) è stato inventato un apparecchio chiamato Jerk-O-Meter, cioè “stronzometro”, che permette di misurare tale caratteristica attraverso un’analisi elettronica delle conversazioni telefoniche.
“Parlare di passione, impegno e identificazione con l’azienda è del tutto corretto per chi ha un buon lavoro e viene trattato con dignità e rispetto. Ma è una sciocchezza, e anche un’ipocrisia, per i milioni di individui che sono costretti a lavorare in aziende che li opprimono e li umiliano, dove l’unico obiettivo è sopravvivere senza danni alla salute o all’autostima e mantenere la famiglia”.
Il quinto capitolo non ha bisogno di particolari commenti, basta il titolo: “Nel regno degli stronzi: piccoli consigli per sopravvivere in ufficio”. Più sorprendente invece il titolo del sesto: “Le virtù degli stronzi”. Tuttavia l’autore è attento a spiegare come tali “virtù” vadano sì prese in considerazione, ma con la giusta cautela.
Il feedback è importante, soprattutto in questioni del genere, perciò esiste un sito internet specifico gestito dalla casa editrice: www.metodoantistronzi.com. Al suo interno si trovano anche l’indirizzo del blog italiano e quello personale di Sutton.

In conclusione, se coloro che si trovano ai vertici di aziende pubbliche e private, una ASL piuttosto che un’università o una fabbrica di laterizi piuttosto che una catena di supermercati, decideranno di mettere in pratica il “metodo antistronzi”, vedranno migliorare sensibilmente le proprie performance aziendali e i loro dipendenti e la collettività tutta non potranno che trarne vantaggio ed essere loro grati. Del resto, l’autore afferma senza troppi giri di parole, come nel suo stile, di aver scritto questo libro perchè “la mia vita e quella delle persone che mi stanno a cuore è troppo breve e preziosa per sprecarla a combattere con gli stronzi”. Parole sante.